Perché non si legge più l' "epica"?
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"Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi!" tenne a dirci Bertolt Brecht.
Nel nostro contesto attuale all'interno di una libreria il più vorace tra i lettori sarà quasi certamente attratto da un raccolta di racconti, di poesie, o di saggi, poiché si é in cerca di una lettura snella e proficua.
Ma la nostra é soprattutto la generazione delle serie tv. E il loro antesignano è proprio il poema, con le sue digressioni, con il suo finale tronco di ogni libro o capitolo, con le voci fuori campo di Omero, Boiardo, Ariosto e Tasso. Del resto il genere epico non vede più rappresentanti degni di nota da un bel po’ di tempo, e anche a livello seriale, esclusi alcuni prodotti di qualità, non ha avuto grandissimo successo.
Eppure avere un eroe epico di riferimento sarebbe importante: ci direbbe tanto sul tipo di società che siamo. Per scegliere il proprio eroe bisognerebbe avere la possibilità di confrontarlo con la realtà attuale, intrisa di tanti atteggiamenti anti-eroici.
Sarebbe bello se un politico avesse l'audacia di Ettore di Troia, se un amico fosse fedele come Astolfo, se i comici riscoprissero l'umorismo del Morgante - come aveva fatto forse inconsapevolmente Totò - o se finalmente riuscissimo a comprendere che la felicità si trova nelle piccole cose (che é la dura lezione di Gilgamesh).
Non si suole togliere, con ciò, l'eroismo di Chuck Bass in amore, quello di Ryan Atwood nel sopravvivere, o di Ted Mosby nel romanzare una ed una sola storia d'amore soltanto.
Perché non dare all'epica una seconda chance? In fondo, scegliere tra un romanzo e un poema é un po' come scegliere tra un film ed una serie televisiva.
di Marta Carcagni
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