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  • chiriattigiovanni6

Freaks Out è una c*gata pazzesca!




6 anni dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot”, Mainetti torna col suo stile fumettoso, alternando il cinecomics con l’ucronia tarantiniana, e pieno di riferimenti alti e bassi al cinema italiano. Il risultato è un dramedy fantasy intriso di eccessiva romanità: nel 1943 in un Roma ancora occupata dai nazisti, 4 circensi mutanti e con doti soprannaturali sono costretti a scappare dalla capitale e dall’Italia, indecisi se seguire il loro capo Israel in America o lavorare nel circo nazista. La scomparsa di Israel, intanto catturato dai nazisti, costringerà i protagonisti a scontrarsi, per poi riunirsi nell’obbiettivo di ricongiungersi al loro padre/mentore. Infatti mentre Cencio, Fulvio e Mario finiranno nelle mire schizofreniche del circo- laboratorio del villain Franz, Matilde intraprenderà con l’aiuto dei partigiani un percorso interiore che la porterà a fare esplodere il proprio potere e far pace col proprio passato. A Mainetti importa poco del contesto storico in cui agisce, le atrocità della guerra sono funzionali all’estetica del cinema di genere che il regista romano vorrebbe mettere in scena. “Freaks Out” crea un mondo di supereroi “garbatella style” che tentano di sopravvivere alla crudezza del mondo che li circonda, sviluppando un mondo a parte, una favola dark che fa un miscuglio di tante cose. Il surrealismo malinconico felliniano, tipico de I clowns e de La strada di Fellini, i personaggi fiabeschi e disarticolati del Pinocchio di Comencini. Il nostro cinema viene fuso con gli intenti action fantascientifici di un “MadMax: Fury Road” e alla maggiore ispirazione di Mainetti, Tarantino e “Bastardi senza gloria”. Paradossalmente l’autore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” si trova più a suo agio nella prima parte del film, quando il filone italiano è più presente. Provando ad americanizzare il suo prodotto, arriva invece a snaturare l’idea stessa di ciò che vuole mostrarci. Gli effetti speciali alla George Miller sono poco realistici, e l’intero reparto registico sembra più videogiocato che girato.

L’ossessione di Mainetti per Tarantino la possiamo ritrovare non solo nella forma ma anche nella sostanza. Riprende alcuni suoi marchi di fabbrica come la “trunkshot”, imperfetta e fuori contesto in molte scene, il ricorso allo splatter e ai colpi di scena uniti ad un tentativo di intrecciare più storie confuse e molto spesso sfilacciate durante la narrazione. Il filmmaker borgataro vorrebbe fare qualcosa di più internazionale possibile, avendo il blockbuster americano come punto di riferimento, arriva invece a fare una sua personale rivisitazione di “Roma città aperta” in chiave pop, stereotipata e penalizzata dalla scrittura dei suoi protagonisti : un “cattivo” caratterizzato molto male, senza carisma e spessore, poco credibile nel ruolo di un Mengele con le visioni, le quali poi sono introdotte un po’ cosi senza una reale motivazione alla base, se non per dare un senso alla ricerca dei Freaks; Matilde è un vero e proprio personaggio spielbergiano e potrebbe essere davvero il vero motore della narrazione, cosa che è a fatica e questo a causa delle sue “spalle”.

Santamaria, che sembra essere una fusione tra Hulk e Chewbecca, si perde nel suo gigante arido ma alla fine bonaccione, e anche la buona prova comica di Castellitto risulta un po’ lasciata nel vuoto e fin troppo macchiettistica. Mainetti ci riporta un film confuso, schiavo delle sue troppe citazioni e della sua fragile scrittura. Un prodotto, quello di “Freaks Out”, che di certo mira ad impressionare lo spettatore medio col suo war movie d’intrattenimento. Ma, per favore, non usate termini come “novità” o “boccata d’aria”.


Chiamatelo furbata invece, oppure un collage di tanti cult nostrani e d’oltreoceano spacciato per capolavoro.

di Donny Brown

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