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  • chiriattigiovanni6

ERROR 404 - Crisi di sistema




Passata l’impellenza dell’approvazione della legge di bilancio, si aprono i giochi per la presidenza della Repubblica: chi sarà il successore di Sergio Mattarella al Quirinale in un momento di difficoltà per i partiti politici? La crisi del sistema dei partiti è iniziata la sera in cui il governo Conte II (sostenuto da M5s, Pd, Leu e Iv) non ha avuto la fiducia dal Senato. In quel momento il secondo governo della XVIII legislatura è caduto e, per evitare che si andasse ad elezioni anticipate nel momento più grave della pandemia, l’attuale presidente della Repubblica ha dato l’incarico di formare un nuovo governo all’ex presidente della BCE, Mario Draghi. I partiti, sulla scia del referendum sul taglio dei parlamentari del 20 settembre 2020, hanno delegittimato la loro funzione permettendo ad una figura super partes di dettare l’agenda politica seguendo il vecchio detto “primum vivere”.

Dunque, torniamo all’oggi. L’elezione del Presidente della Repubblica è, di norma, sempre guidata da un primo motore: ricordiamo De Mita, primo elettore di Cossiga e D’Alema, quello di Ciampi. Il problema principale di questa elezione è che i due schieramenti di centrosinistra e di centrodestra non hanno voti per eleggere un presidente da soli: serve un compromesso. Tutti i candidabili sono troppo di parte: in area centrosinistra, con i dovuti distinguo, potrebbero essere Paolo Gentiloni,commissario europeo all’economia, Romano Prodi, padre del Pd, Dario Franceschini, ministro della cultura; Silvio Berlusconi, ammesso che sia confermato, per il centrodestra. Ovviamente ci sono anche dei tecnici come Cartabia, ministra della giustizia, o una “riserva della Repubblica”, come Amato, già due volte presidente del Consiglio nel 1992-1993 e 2000-2001. Il problema di questi candidati è che non hanno un appoggio bipartisan e si temono i franchi tiratori, ovvero quegli elettori che votano non seguendo gli ordini di partito (chiedere a Romano Prodi e ai 101 voti mancanti alle elezioni del 2013). Un secondo ordine di problemi è dovuto al fatto che il nuovo presidente della Repubblica sarà eletto da un parlamento che, al momento, non rispecchia la reale conformazione politica del Paese: sono lontane le elezioni politiche del 2018 quando i 5 stelle avevano il 32%.

FdI ha più che quadruplicato i suoi consensi, sono nati nuovi partiti (Azione e Italia viva) e alle elezioni politiche del 2023 il parlamento sarà composto solo da 600 rappresentanti invece dei 945 attuali: si eleggerebbe un Presidente che tra due anni potrebbe essere delegittimato. L’unico vero candidabile e possibile vincitore è l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Mario Draghi. Il ministro dello sviluppo economico, Giorgetti, a proposito di questa eventualità ha parlato di un semipresidenzialismo “de facto”.

Qualora questa ipotesi diventasse realtà, ci sarebbe bisogno di cambiare la nostra Costituzione. L’evento più probabile, allo stato delle cose, è un passaggio di consegne Draghi-Franco, suo ministro dell’economia, con il primo che andrà al Quirinale e il secondo sarà Presidente del Consiglio. Questa soluzione sarebbe ottimale per i 5 stelle per il fatto che alle prossime politiche vedrebbero verosimilmente più che dimezzare i loro voti e per un Pd ancora alle prese con una restaurazione interna. Il centrodestra, per capitalizzare i consensi, potrebbe votare Draghi al Quirinale e chiedere elezioni immediate. L’attuale premier sembra quindi essere un candidato molto promettente.


L’operato di Draghi come Presidente del Consiglio è encomiabile, da vero civil servant: economia in ripresa, campagna vaccinale strutturata in modo eccellente, PNRR approvato da Bruxelles. Ha adempiuto al dovere per cui è stato chiamato da Mattarella.


I partiti non comprendono un fattore importante: spostare Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale è solo un modo per procrastinare il momento delle responsabilità: finché c’è Draghi i partiti avranno sempre un paracadute. Decidere di non decidere, pensare a fare battaglia più sui social che sui temi sociali, pensare a mettere le proprie bandierine su di un provvedimento quando invece le vere riforme sono fatte dai ministri tecnici (Franco, Cartabia, Cingolani, Giovannini e Colao). Se non si esce al più presto da questo pantano la crisi dei partiti perdurerà, e non sempre ci sarà un Draghi pronto a fare da parafulmine.


di Alessando Villari

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